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Ho terminato la lettura di questo libro, incuriosito da una recensione/riflessione letta qui su WordPress.
In particolare volevo capire come Michela Murgia avesse conciliato la sua visione femminista (e queer) con la sua fede cattolica.
Di seguito i 3 punti che mi hanno maggiormente colpito o fatto riflettere.
1) Il punto più interessante del libro è la sua riflessione sulla Trinità, sul fatto che la Divinità cristiana, pur essendo una, è in realtà in tre persone distinte e ciò trasmette da un punto di vista numerico apertura (l’1 infatti è solo, il 2 è la coppia e dunque ti sentiresti il terzo incomodo, il 3 invece da il via all’idea di gruppo e di comunità).
La sua riflessione mi ha fatto pensare su come io vivevo invece l’idea di Trinità e di come Questa coprisse diversi miei stati d’animo e diversi dei miei bisogni.
Quando mi sentivo angosciato e bisognoso di protezione, c’era la figura del Padre.
Quando percepivo l’assenza della figura protettiva del Padre e c’era da soffrire, mi sentivo fratello di Gesù in croce, abbandonato da Dio e consegnato al sacrificio.
Quando invece avevo dubbi sia sul Padre che sul Figlio, figure troppo antropomorfe per poter essere associate alla Divinità, mi rifugiavo nello Spirito Santo, Essenza e Soffio di Vento.
2) Michela Murgia fa riflettere parecchio sulla potenza delle immagini e dell’iconografia.
In Occidente questa ha sempre raffigurato un Padre (classico uomo dalla barba bianca che vive nei cieli), un Figlio (castano con barba e capelli lunghi) e una Colomba bianca come raffigurazione dello Spirito Santo.
“Due uomini e un uccello”, tagliavano fuori così la figura femminile. Ecco perché lei – come racconta – rimase folgorata quando vide l’immagine di un’icona di Andrej Rublëv che raffigurava una Trinità ben diversa da quelle occidentali:
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In questa immagine le figure sono antropomorfe ma non hanno né tratti maschili né tratti femminili, lasciando così aperta ogni interpretazione e possibilità.
Questa sua riflessione mi ha fatto pensare alle bellissime opere d’arte presenti in Italia ma che trasmettono effettivamente l’idea della divinità-maschio, senza lasciare spazio alla divinità-femmina.
La Madonna, di fatto, fu un surrogato – molto richiesto dalla popolazione – necessario per colmare l’assenza della Dea Madre che da sempre popolava ogni pantheon delle tradizioni religiose del passato (=segno che è qualcosa di necessario per ogni essere umano).
Mi sono chiesto dunque se qualche artista avesse “osato” creare versioni alternative delle più celebri raffigurazioni sacre, mostrando invece un Dio donna.
E ho trovato un quadro di un’artista, chiamata Harmonia Rosales, che ha realizzato questo:
![](https://notedileonardo.wordpress.com/wp-content/uploads/2024/06/image-2.png?w=748)
Oltre a trovarlo molto bello (così come le altre opere da lei realizzate), penso che non sia un quadro che passi indifferente.
Pensare al Dio-donna è qualcosa che per noi occidentali risulta davvero provocatorio.
3) L’ultimo punto che mi ha colpito – o meglio più che altro è stata una conferma al pensiero che mi sono formato negli anni – è che una Fede matura è la Fede di chi non trova risposte ma di chi continua ancora a farsi domande.
Il frate dotto “domenicano” di un tempo che istruiva e che aveva sempre una risposta a tutte le domande dei fedeli è molto lontano dalla mia idea di Fede.
E’ molto più “spirituale” colui che è costantemente alla ricerca ed accogliente alle manifestazioni del “divino”.