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Le emozioni del bambino traumatizzato

Se le emozioni del bambino traumatizzato potessero parlare, direbbero, per esempio: “Non posso ammettere che tu mi voglia amare. E’ ridicolo che tu pretenda di amarmi: lo so da tempo che io non sono degno d’amore. Non devo in alcun caso “abbandonarmi” ai tuoi/miei sentimenti. So che le conseguenze sarebbero micidiali. L’amore è un istinto morboso cui si deve rispondere con l’inganno, il rifiuto, l’umiliazione e la sofferenza. Io so com’è fatto il mondo. Tutte queste stupide chiacchere a proposito di amore e di altruismo servono solo a rendere l’individuo più malleabile. Non soggiacerò mai più a questi inganni. Io non voglio credere che esista una sola persona che capisca davvero il bambino, che si schieri dalla sua parte e s’impegni disinteressatamente in suo favore. Non fidarmi di nessuno è la mia assicurazione sulla vita. Non intendo più espormi alla delusione.

Konrad Stettbacher – Perché la sofferenza

Questo passaggio fa capire molte molte cose, personali e non.

Tra le categorie più importanti con le quali ci facciamo un’idea di una persona, questa è una delle più importanti.

Ci sono coloro che sono stati sufficientemente amati e coloro che non lo sono stati.

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citazioni Deliri mentali Riflessioni

Nei magazzini della psiche

Un bambino non è in grado di recepire i lati negativi del proprio padre, e tuttavia essi restano immagazzinati in qualche angolo della psiche, perché l’adulto si sentirà per l’appunto attratto da quei lati negativi nei suoi sostituti paterni.

Alice Miller – La persecuzione del bambino

Ci rileggo, ancora una volta, la frase di Jung: “Rendi conscio l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino“.

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Il Sé (2/3)

Dato dunque che il rapporto dell’Io con il corrisponde a quello del figlio con il padre, si può dire che il Sé, mentre ci costringe ad autosacrificarci, compie su sé stesso l’atto sacrificatore. Di quel che questo atto significa per noi ci rendiamo sufficientemente conto, ma quel che esso significa per il Sé non è così chiaro.

Carl G. Jung – Il simbolismo della Messa
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Comunicazione Deliri mentali Riflessioni

Relazioni verticali e relazioni orizzontali

Uno tra i molti punti che mi è maggiormente piaciuto de “Il coraggio di non piacere” è la classificazione delle relazioni in due tipi:

  • verticali: sono quelle dove c’è una persona in alto e una in basso, una persona “superiore” e una “inferiore”.
    Ad esempio il rapporto genitore-bambino oppure maestro-allievo oppure capo-schiavo.
  • orizzontali: sono quelle dove entrambe le persone sono alla pari.
    Ad esempio il rapporto (sano) tra partner, tra amici o tra colleghi. O anche quello genitore-figlio e maestro-allievo ma più evoluto.

Le relazioni verticali si instaurano tramite una potente arma: il giudizio.

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Egocentrismi

FILOSOFO: Considera il desiderio di approvazione. Quanta attenzione ti dedicano gli altri, e qual è il loro giudizio sul tuo conto? Vale a dire, fino a che punto soddisfano il tuo desiderio? Le persone ossessionate dal desiderio di approvazione danno l’impressione di guardare gli altri quando, in realtà, guardano solo se stesse. Non si preoccupano per gli altri, ma solo dell’io. In sintesi, sono egocentrici.
GIOVANE: Dunque anche le persone come me, che hanno paura di essere giudicate dagli altri, sono egoiste? Anche se ce la metto tutta per essere attento e rispettoso degli altri?
FILOSOFO: Sì, sei egocentrico perché ti preoccupi soltanto per l’io. Vuoi che gli altri pensino bene di te, ed è per questo che temi il loro giudizio. Questa non è preoccupazione per gli altri, ma solo attaccamento al sé.

Il coraggio di non piacere – Ichiro Kishimi, ‎Fumitake Koga

Dunque gli egocentrismi sono di due tipi:

  • quelli che appaiono pieni di sé e calpestano tutto e tutti
  • quelli che si fanno calpestare da tutti per conquistare la loro approvazione

Due facce opposte di una stessa medaglia.

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L’Altro

FILOSOFO: […] sai qual è l’unità più piccola della società, dal punto di vista della sociologia?
GIOVANE: L’unità più piccola della società? La famiglia, direi.
FILOSOFO: No, siamo “io e te”. Bastano due persone per creare sia la società sia la comunità. Per capire il senso di comunità cui fa riferimento Adler è consigliabile usare “io e te” come punto di partenza.
GIOVANE: Ma a che scopo?
FILOSOFO: A passare dall’attaccamento al sé (interesse personale) alla preoccupazione per gli altri (interesse sociale).

Il coraggio di non piacere – Ichiro Kishimi, ‎Fumitake Koga

Alcuni parlano di comunità e vogliono avere un ruolo centrale in essa, ma in realtà associano questo concetto all’immagine di loro stessi osannati e ammirati da un grande gruppo di persone.

Più che essere interessati alla missione che ha la comunità, sono interessati ad essere adorati.
Probabilmente è la parte Bambina che abita in loro e che è affamata d’amore.